L’affannosa ricerca di una sinistra che non c’è
- sitofsalmoni
- 9 mar 2023
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Quattro anni fa scrissi sul mio blog un articolino in cui sostenevo che la sinistra in Italia non c’è più, alludendo evidentemente a quella istituzionale dal nome clonato di Partito Democratico, che fosse necessario superare l’equivoco che si nasconde sotto quella sigla. Da allora la situazione si è resa evidente anche agli occhi e alle penne di ogni osservatore, più recentemente dopo le elezioni di settembre.
Prima dell’avvento della Schlein, Prezzemolo Giannini su La Stampa (26.2.2023) aveva titolato un lungo proclama-editoriale “Perché l’Italia ha bisogno del Partito Democratico”, declinato nella forma mentis mediatica per cui esiste solo il piano istituzionale, in cui deplorava i ben noti difetti del Pd che non starò qui a ripetere, augurandosi naturalmente una resurrezione.
Con l’avvento , le elite dei salotti si sono ravvivate e i media hanno dato la stura a consigli e suggerimenti “disinteressati” alla nuova arrivata per sospingerla nel recinto dei programmi sperimentati del governo Draghi e della tecnocrazia globale: europeismo/ atlantismo/guerra (che ormai sono la stessa cosa), ricette economiche della Bce, tagli al welfare, blocco ai salari già più bassi d’Europa e privatizzazioni ad libitum. L’eletta non ha deluso le aspettative perché si è affrettata a elencare sulle dita della mano la sua triade: l’ambiente, i diritti, il lavoro. Con l’occasione dell’attacco squadrista al liceo di Firenze ha evocato persino l’antifascismo e ha aderito al corteo dello scorso fine settimana: un corteo di decine di migliaia di persone, risultato poco interessante per i media di regime per i quali la notizia è stata solo l’incontro davanti ai microfoni con Conte e Landini, auspicato prologo alla nuova unità della “sinistra”. Se quell’immagine abbozzata era un’indicazione di programma sul lavoro sappiamo già cosa ci aspetta: una versione “progressista” del neoliberismo imperante, incapace di opporsi alle pressioni confindustriali, all’abituale foraggiamento delle lobby amiche, alla progressiva fuoriuscita dal mercato del lavoro di migliaia di persone, al disastro ambientale delle grandi opere e dello sfruttamento del suolo, alla politica di escalation bellica sostenuta dal suo partito, alle scorribande fasciste alle scuole (almeno finchè gli studenti non impareranno a organizzare la propria autodifesa). Eccetera.
Finora, di guerra e di armi all’Ucraina l’eletta non ha parlato (aveva votato a favore) come anche non ha parlato di ambiente (nel 2018 da parlamentare europea di Possibile aveva votato per escludere il Tav dall’elenco delle infrastrutture ferroviarie transfrontaliere comprese nel corridoio mediterraneo) ma tutto fa dubitare che riuscirà a svincolarsi dalla stretta dei lacciuoli del sistema. Tra un’incombenza e l’altra le sarà più facile pronunciarsi sui cosiddetti “valori”, quelli che nessuno ostacola perché non “costano”, non smuovono interessi: l’antifascismo vittimista, appunto, e i “diritti”, quelli che portano i voti dei salotti in Ztl e delle minoranze colorate. Vedremo cosa risponderà a chi le ricorderà i diritti violati durante la pandemia, sul 41 bis, sulla stretta del controllo sociale per via poliziesca (ieri 8 marzo un innocuo corteo torinese di duecento persone era scortato dietro e ai fianchi dalla Celere), sugli interventi polizieschi sempre più duri e invasivi (vedi la Digos all’assemblea dei liceali fiorentini) . Qualcuno si illude che riesca a bucare la bolla che avvolge prima di tutto il suo partito e il pensiero unico dominante?
E se la “sinistra” istituzionale non c’è più o è ridotta a costola del neoliberismo globale, cosa rimane? Molto. L’Italia pullula di movimenti la cui presenza e attività sul territorio e sulle mille magagne di questo Paese è cancellata dalle cronache di un’informazione che ha come riferimento unico le veline istituzionali . E ultimamente si sono ripresi la scena gli operai: GKN e portuali genovesi hanno convocato e guidato grandi manifestazioni per le condizioni di lavoro, i salari e contro le armi all’Ucraina. Per non parlare degli scioperi del gruppo Ilva-Ansaldo e dei lavoratori della logistica. Una macchina che sembra rimettersi in moto dal basso e coagulare intorno ai lavoratori i propri alleati naturali, quella cosiddetta “fabbrica integrata” con la partecipazione diretta dei cittadini organizzati, dei precari, dei disoccupati. E’ forse giunto il tempo di cominciare a pensare a un coordinamento nazionale di tutti i movimenti, dei nuovi sindacati di base, delle rappresentanze di tutte le istanze di lotta, delle associazioni di cittadini consapevoli, dei centri sociali, dei senza casa, per costruire intorno e insieme ai lavoratori forza e prospettive autonome di avanzamento della giustizia sociale e per creare condizioni di progressiva instabilità dei poteri che ci dominano, che ci portano guerra, alienazione e impoverimento? (9.3.2023)
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